Due studiosi poco conosciuti tra gli esperti in un solo giorno hanno detto di aver trovato 100 disegni da attribuire a Caravaggio in un fondo milanese e hanno messo in vendita su Amazon l’ebook con le riproduzioni. Siccome sono poco conosciuti e anche giovani, e non fanno parte della casta baronale degli esperti, si è per un po’ parlato di loro come piccoli eroi e si è detto anche che chi li critica e solleva dubbi lo fa solo perché, appunto, sono giovani e privi di un curriculum pomposo. Sul web si è diffusa la notizia. 100 disegni di Caravaggio! Minchia! E messi così, a disposizione di tutti, su Amazon! Viva la democrazia. L’autorevole Vittorio Sgarbi ha difeso i due contro l’establishment polveroso della storia dell’arte.

Alcune cose colpiscono della vicenda, sulla quale si sono espressi i maggiori esperti di Caravaggio tra i quali Bora e Maurizio Calvesi  ed è uscito, tra gli altri, un interessante brano di Davide Dotti:

1) un entusiasmo irrefrenabile si è levato all’idea di due giovani ricercatori (largo ai giovani!) non invischiati nell’estabilishment (la casta!) e capaci di trovare grazie al proprio spirito d’iniziativa (?) 100 disegni di Caravaggio.

2) come sottolinea Maurizio Calvesi, la notizia è stata data da organi di stampa che, sino a poco tempo fa, annoveravano tra i propri collaboratori autorevoli studiosi appunto per sottoporre loro certe informazioni. Anche gli autorevoli studiosi sbagliano, è chiaro. Ma sbagliano meno.

3) l’entusiasmo è rimbalzato sul web e la notizia, un po’ come quella sui superpoteri di Hollande, ha raggiunto in poco tempo tutti i consumatori medi di arte, specie di Caravaggio, che per i più sta alla storia dell’arte come Maradona al calcio.

4) degli esimi studiosi che hanno, anche discretamente ed educatamente, sollevato dubbi si è letto il curriculum, come se fossero loro a dove provare di essere esperti, e non i sedicenti ritrovatori.

5) l’appartenenza degli stessi esimi studiosi ad una élité di storici dell’arte è stata interpretata – non da tutti, è chiaro – come appartenenza ad un clan, un gruppo chiuso che non si capisce quali ragioni possa avere nel tenere nascosti i disegni di Caravaggio.

La storia dell’arte è una disciplina magica, e complessa. Allo storico dell’arte sono richieste passione e dedizione, ma anche intuito, esperienza diretta, accuratezza nello studio delle fonti. E coraggio. Gli occhi sono importanti quasi quanto le nuove tecnologie e vanno allenati giorno dopo giorno. Quello che vedono va collegato a quello che si sa o si legge. Se la storia dell’arte in quanto passione vince su una rivale, ad esempio la scrittura, è capace di piegarla ed ecco che quelli che sarebbero stati grandiosi romanzieri – Longhi, Brandi, Gombrich – passeranno la vita a scrivere di quadri. Certo, come tutte le discipline la storia dell’arte ha in seno le sue odiose consorterie. Ma non è questo il discorso.

La storia dell’arte vuole l’autorevolezza – non l’autorità -. L’autorevolezza vuole lo studio. Lo studio vuole il suo tempo e il suo spazio dedicato. Tempo e spazio che oggi sembrano mancare.

Oggi bisogna difendersi per aver studiato, scusarsi per essere persone preparate e, in certi casi, costrette alla pedanteria. Se si usa una terminologia troppo appropriata bisogna aspettarsi insulti, e attacchi (parla come mangi!). Se si è passata una certa età meglio abbassarsela artificialmente, perché improvvisamente ad esser saggi sono solo gli under 50.

I disegni di Caravaggio, con ogni probabilità, sono una bufala. Ma il guaio non è questo. Il guaio è che alla gente che li guarda non gliene frega niente, come al buon Daccò del gusto dei suoi vini da 300.000 euro. E’ il prezzo sull’etichetta che conta, non il gusto, non la bellezza. Figurarsi poi la storia. Tra una ventina d’anni, ognuno avrà il suo Caravaggio in casa, garantito da una tweet-perizia eseguita direttamente sull’album facebook di un esperto sedicenne.

Pamarasca

(il disegno riportato è preso in prestito da http://www.comprensivoturbigo.it/ ed è opera di Ilenia. A prima vista mi pareva un Raffaello)