Leggo sulla stampa locale di un ammirevole intervento dell’assessore alla cultura della mia città, Ancona. Dice più o meno: “che ci sto a fare io qui, se l’amministrazione non ha intenzione di trovare i fondi per riaprire la Pinacoteca e la Biblioteca cittadine?”. Sacrosanto: chiusi per una serie di lavori, i due siti culturali non hanno al momento prospettive di riapertura.
Arte e letteratura non hanno mai avuto un buon rapporto con il potere: bandite, bruciate, messe all’indice, vietate, le opere letterarie e figurative vengono oggi più volentieri e discretamente ignorate, mentre proprio da loro bisognerebbe ripartire per rincorrere la difficile ma necessaria costruzione di una società civile.

Dice bene l’assessore: “se non ci sono soldi per il mobilio della biblioteca, andiamo a comperare tavoli e sedie all’Ikea”. I libri si leggono in autobus, per strada, sui gradini, proprio ad Ancona c’è un signore per il corso pedonale, davanti ad una nota farmacia, che chiede monetine e nel frattempo legge romanzi d’ogni tipo. Affanculo gli arredi, qui c’è bisogno di letture. Purtroppo, non è così semplice.

Nella città in cui vivo governa da anni (e anni e anni) il centrosinistra. Non è una città facile, la gente preferisce imbellettarsi per lo shopping che andare ad una mostra, ma è anche vero che i membri del potere locale hanno pian piano fatto terra bruciata giungendo infine ad uno stato di immobilità imbarazzante. La certezza del potere ha anzi risvolti paradossali: come a destra sono convinti che sia sufficiente dirigere un’azienda per governare un paese, così a sinistra si pensa che basti dirigere una scuola per governare una città e in una cosiddetta roccaforte dell’opposizione si sceglie un preside, brav’uomo per carità, ma chi di noi ai tempi del liceo non ha mai preso per il naso questa imbalsamata autorità? Ed è proprio un preside, colmo dei colmi, ad accettare che una città venga privata del proprio fabbisogno culturale e a ripararsi dietro la solita ragione, mantra dei nostri tempi: non ci sono soldi.

Ma i soldi non ci sono proprio, e da nessuna parte. Eppure chi vuole leggere legge anche mentre chiede monetine per la strada e chi non ha mai pensato di farlo forse lo farebbe, se si trovasse circondato da libri, così come imparerebbe ad ammirare una tela del Lilli o un sacco di Burri, se solo potesse vederli, conoscerli, frequentarli.

La città in cui vivo è una triste ammissione di sconfitta. Come possiamo pretendere che il capo del governo se ne vada, se nemmeno in un centro di 100.000 abitanti noi, che lo avversiamo da sempre, siamo capaci di ammettere la nostra incapacità, il nostro fallimento? Come possiamo prendercela con chi rimane attaccato ai privilegi del potere, se noi, nella nostra amena sede locale, ci comportiamo nella medesima maniera?
Non ci sono soldi per la biblioteca. Non ci sono soldi per la pinacoteca.
È questa la più grande disfatta di una sinistra che ha appreso che l’ignoranza è il miglior conservante di potere al mondo, e ne miete a volontà.

Non c’è più biblioteca, non c’è più pinacoteca perché anche la cosiddetta sinistra ammette che di loro non c’è poi così bisogno.

Ha ragione l’assessore alla cultura a dire “che ci faccio io qui?”. Niente. Ma allora proviamo a prendere tutti i libri della biblioteca, e i quadri della pinacoteca, e portiamoli alla città, nelle strade, nei locali, nelle piazze. Qualcuno se ne perderà, qualcun altro si rovinerà. Qualcuno verrà rubato. Che importa? In un’epoca tanto buia, la luce non è nelle casseforti delle banche, ma nello spirito di solidarietà che solo l’arte e la letteratura sanno ricreare. L’opera d’arte non è un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. La cultura non è un salotto, ma il mattone grezzo delle fondamenta.

Pamarasca