Andrò a votare. E’ sempre difficile. La sola militanza della mia vita è stata al Ponte della Ghisolfa e continuo a ritenere il pensiero anarchico – certo pensiero anarchico – come il più vicino a me. Persino, oggi, estremamente contemporaneo, come ho scritto anche qui. Una serie di motivi mi spingono a votare. Tra gli altri, che se elencassi diventerei ancora più noioso, il fatto che il movimento anarchico non ha la forza di far valere l’astensione politica quale rifiuto del principio di potere e strada verso la costituzione di una società ecologica. L’astensione dunque non mi pare oggi  un mezzo effettivo di intervento e di discorso. Resta, naturalmente, una scelta di coscienza, filosofica per così dire, e ammiro chi la vive in questo modo come ammiravo il mio amico Pietro quando, scegliendo di essere obiettore totale ai tempi in cui c’era il militare obbligatorio, mi diceva che non conosceva alternativa: “non mi guarderei più nello specchio.”

Detto questo, resisto alla tentazione di votare Berlusconi, che tuttavia è di gran lunga superiore ai suoi rivali nell’arena che l’odierna politica si è disegnata attorno. Non c’è nessuno alla sua altezza, capace di vivere e ostentare il proprio narcisismo con tanta schietta abbondanza di mezzi e di espressioni. Non c’è nessuno che, come è ben raccontato in questo libro, sia altrettanto sincero da chiedere voti in nome delle proprie psicosi, senza scendere al compromesso della razionalità. Lui è su un altro livello.

Ho dato un’occhiata a destra – dato che la destra mi pare esista in questo mondo – per curiosità e sono rimasto colpito dallo sbandieramento di concetti come Patria, Popolo, Nazione, Stato: nell’era della post globalizzazione, della comunicazione, della condivisione, della connettività permanente, mi sembra questa solo una tenera difesa, un modo per proteggere la propria sensibilità, per riconoscere l’incapacità di vivere l’epoca contemporanea, di vedere tutto questo male, tutto il mondo, tutte le cose che accadono. Lo Stato-Nazione, invenzione assai recente nella storia, resiste nell’immaginario perché abbiamo bisogno di una cornice. Di una porta che possiamo chiudere quando il mondo ci aggredisce con le sue tante verità. La conseguenza, è che poi il mondo non lo vediamo più, e credo che qui stia la profondità dell’ammonizione delle suore: se ti fai troppe seghe, diventi cieco.

Ho dato un’occhiata a Monti, una figura esemplare, consumata dal potere, che non vale un briciolo della follia di Berlusconi e si ostina a voler sorridere quando sarebbe molto più semplice non farlo. La sua chiamata alle armi in nome di un’emergenza che, non si sa come, avrebbe sistemato dopo averla corroborata, e la successiva convinzione di poter essere un nuovo Duce, perché il potere, checché ne abbia detto Andreotti, logora proprio chi ce l’ha – e qualcuno mi dica, se ha coraggio, che esiste una figura più logora di Andreotti proprio quando sostiene il contrario, con un ghigno beffardo che sintetizza tutto il male che ha dovuto assorbire per rimanere lì. Non ho nemmeno guardato il programma. Bum.

A sinistra naturalmente c’è il Pd. Devo dire che, come spiegò bene Massimo Recalcati in una puntata de l’Infedele di qualche anno fa (guadagnerò punti amore con questa citazione), Bersani sembra il solo leader che non professa leaderismo, ma tenta, direi disperatamente, di ricucire le fila di un’idea di partito, di movimento collettivo, senza però dare la giusta importanza alle epocali trasformazioni dell’epoca in cui vive. E’ ammirevole questa dedizione alla collettività lì dove tutti scelgono personalismi, ma è come un treno sui binari giusti, che però vada a vapore. Inoltre, la cosa che mi irrita di più è il fatto che in venti anni di berlusconismo questo grande partito non sia cresciuto per ciò che proponeva, ma per ciò che combatteva, e stenta, mi pare, a perdere il vizio.

Da quelle parti c’è Rivoluzione Civile, e qui faccio un discorso inverso, perché il personalismo qui si fa quasi idolo di se stesso e si presume che una persona, un bravo – a quanto so – magistrato sia in grado di governare e di guidare una fazione politica che è miscellanea proprio perché non è un politico. Ma questa forse è la fazione più politica di tutte, e dunque mi sembra ci sia un controsenso, così come c’era un controsenso nel credere che un dirigente d’azienda, o un preside d’economia, fossero adatti a governare perché sapevano, il primo, portare profitti alla propria impresa e, il secondo, trovare i fondi per la sua università. Le parole d’ordine di Rivoluzione Civile sono naturalmente del tutto condivisibili, ma questo partito è una mossa che, probabilmente per ignoranza, o perché non sono comunista, non capisco. Ho letto, ma non ho capito.

Tocca dire anche del M5S, a proposito del quale mi è capitato molto di discutere recentemente. Dirò brevemente perché non potrei mai votarlo, sebbene esso abbia il merito di porre l’attenzione su temi centrali trascurati dagli altri e di riprendere, anche se in maniera non originale, una serie di concetti dell’area libertaria (ma le aree le riprende un po’ tutte, il M5S, come una mannaia). Non potrei votarlo anzitutto per il leaderismo che lo contraddistingue: Grillo è il solo che si avvicina alla grandezza psicotica di Berlusconi, in questo, ed è assetato di potere come poche persone ho visto mai. Sarebbe sufficiente farlo vedere da qualcuno in gamba per essere sicuri di quanto sto dicendo. In secondo luogo perché vedo dell’ipocrisia nel parlare di rivoluzione quando in realtà, nel migliore dei casi, si vuole fare riformismo: la rivoluzione non si fa, infatti, andando in parlamento secondo le regole di chi c’è stato prima. Il riformismo mi potrebbe anche stare bene, ma questo mentire sulla sua natura mi sta già sul cazzo (ecco, già parlo come loro). Inoltre, non potrei votarlo perché è un movimento che non dà alcuna garanzia sulle scelte che faranno i suoi componenti, nemmeno in sede pre-parlamentare: non so cosa pensano dei temi più importanti, non vedo un’idea fondante, non vedo un principio. Solo temi amministrativi – e per questo sono convinto, come ho detto più volte, che sarebbe un gran Movimento se, per ora, si limitasse alle elezioni amministrative e locali, dove avrebbe bene un senso – oppure, dall’altra parte, proclami che sono un giorno nazionalisti (Noi Italiani!) e un giorno libertari (La Rete! Come se esistessero la rete italiana, la rete inglese, la rete francese…), un giorno liberisti (la Concorrenza!) un giorno statalisti (lo Stato forte!). Credo in definitiva che il M5S a livello nazionale sia una iattura e abbia molti punti in comune con tanti movimenti occidentali sciovinisti che hanno costellato la storia, e ne ho prova tutte le volte che un suo membro, schizofrenicamente, sostiene che Grillo sia “solo” un portavoce e poi lo difende da qualsivoglia accusa senza nemmeno ascoltare le critiche.

Alla fine, insomma, io voterò per queste elezioni nazionali SEL. Lo so, lo so, non è una cosa proprio anarchica. Ma è una forma di politica parlamentare che parte da idee e non da mere congetture amministrative, e che vanta dei principi. Qualcosa già è, dati i tempi che corrono. Soprattutto, è una forma politica che ha principi ma conosce la negoziazione, ovvero sa cosa significhi la vita politica parlamentare. Queste due cose devono essere indissolubili, in questo genere di democrazia. Come ho scritto altrove, infatti, la democrazia non è un ideale, ma uno strumento. E gli strumenti bisogna usarli per quel che sono, è inutile cercare di tagliare il pane con un coltello tenendolo per la lama. Inutile e dannoso.

E forse voti come il mio possono essere segnali di una sinistra non necessariamente comunista, ma fortemente sinistra. Magari segnali di fumo, ma segnali. Non sono certo di quello che faccio. Ma lo faccio. Sempre con il dubbio dentro e la voglia di sapere: prediligo il dubbio alla certezza, la domanda alla risposta, le ipotesi alle verità. Un voto dato con troppa convinzione è un voto già malato.