Il mio amico del cuore, sempre più brillante nerd, ha da poco dato vita a un sito dedicato alla questione dell’editoria online e, più in generale, al mondo dei libri presenti e futuri.
Una faccenda mica da ridere, sulla quale sarebbe necessario avere conoscenze che non ho. Ma, poiché ho pubblicato un romanzo, mi pavoneggio e dico la mia.
Di tutta la querelle attorno al futuro del libro, quello che mi colpisce maggiormente è la scarsa attenzione tributata alla fantasia del lettore. Si parla di sensi, dell’odore della carta, del fascino della stampa e, di contro, della comodità del digitale; di come sia cambiata la maniera di scrivere, di come cambierà. Dei pixel. Della mobilità.
Ma in fondo, perché un libro è un libro? Voglio dire, perché aver pubblicato un misero romanzo mi fa compiere un balzo in avanti così rispetto al mio vicino di scrivania che ha scritto quattro saggi di sociologia, e ad un amico che gira video da 20 anni? La risposta, suppongo, risiede proprio nella fantasia del lettore: nella particolare forma di condivisione della creazione che caratterizza la letteratura e grazie alla quale un libro è nel contempo un messaggio pubblico e privato.
Qualunque romanzo, anche il più feroce nell’enumerazione di dettagli, pretende dal lettore l’esercizio della fantasia creatrice necessaria alla costruzione di un mondo che esiste solo nello spazio condiviso tra chi scrive e chi legge. E’ una magia. La parola, si sa, è uno strumento di dubbia utilità e niente affatto preciso: nel momento in cui viene sputata muta forma e contenuto, persino direzione. In un romanzo, questa fragilità si trasforma in forza: chi legge è fruitore e autore, dal momento che immagina alla sua maniera un luogo, un viso, una cadenza dialettale. Certo, entro alcuni limiti posti dallo scrittore: ma con ampio spazio di manovra.
In questo periodo, sto cercando di scrivere un altro romanzo. Quando scrivo, non leggo altro che un’edizione vecchissima di Delitto e Castigo: è una specie di feticcio, lo ammetto. Le manca la copertina e mia madre ci ha scritto a penna una data: 1960. Ora, il romanzo parte letteralmente in quarta e non ci lascia nemmeno il tempo di affidarci ad una descrizione decente. Raskolnikov è un giovane. Il suo appartamento somiglia ad un armadio.
Dobbiamo fare tutto noi, entro il limite geniale messo lì da Dostoevskij, quell’armadio che la dice mille volte meglio rispetto ad una millesimazione del catasto.
Direte voi: che c’entra?, stai andando fuori tema. Non credo.
Perché quel che mi spaventa maggiormente degli ebook è proprio la messa in discussione dell’esercizio fantasioso del lettore. Temo, in altre parole, che in poco tempo un libro creato per il digitale ceda alla comprensibile tentazione di farsi multimediale, di fornire riferimenti precisi, di lasciar meno spazio possibile all’immaginazione di chi legge: perché non mettere la fotografia di un attore per permettere a chi legge di capire come vogliamo sia il protagonista? E soprattutto, che ne dite di una bella mappa, una foto satellitare della strada in cui si svolge la vicenda? E come resistere alla possibilità concreta di far ascoltare al lettore il brano che sta ascoltando un personaggio?
Affascinante, sì. Niente in contrario a questa possibile nuova forma d’arte (vicina, d’altronde, al fumetto o, come si dice ora, alle graphic novels).
Ma se non alleniamo la fantasia quando leggiamo, come potremo usarla poi, scrivendo o compiendo ogni altra azione che profuma di creazione? E’ questo il tarlo che sull’argomento mi ossessiona: la grandezza della parola sta nel vuoto che chi la legge, o ascolta, va a riempire. Nella sua impossibilità d’essere certa e definitiva. Vedere con i miei occhi, in un popup, la ricostruzione dell’appartamento di Raskolnikov: ecco cosa temo.
Va da sé che, in campo educativo e scientifico, si tratta di una risorsa cui attingere in maniera appassionata, come ha raccontato Marco qui. Ma mi piace ricordare, ogni tanto, l’insegnamento di Leonardo Sciascia e riconoscere che il racconto, il romanzo, l’arte in generale sono forme di conoscenza e di esplorazione dignitose tanto quanto la ricerca scientifica. Ma hanno bisogno di una fantasia allenata al vuoto.
Pamarasca
Le immagini del post:
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l’autografo di sensation di Arthur Rimbaud
Lavori per la stazione della metro di Mosca dedicata a Delitto e Castigo
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