Se diamo un primo sguardo superficiale, pensiamo subito si tratti di un debole per le infrastrutture: si sceglie un artista per la Galleria del Risorgimento, che è un tunnel per automobili, e si commissiona una scritta luminosa ANCONA per un ponte metallico che collega il parcheggio all’ospedale regionale.

D’altra parte, durante un’intervista per l’emittente locale etv, il Sindaco di Ancona aveva detto di voler “essere ricordato” “per la Galleria del Risorgimento”. L’intervista chiariva anche un certo modo di pensare alla città, perché definiva la Galleria “l’ingresso di Ancona” nonostante la maggior parte delle persone viva al di fuori di quel tunnel.

Ma si tratta solo di questo? È solo un irrefrenabile amore per le infrastrutture che spinge questa amministrazione a realizzare le sue prime opere pubbliche originali (vale a dire quelle non ereditate dall’amministrazione precedente) su una Galleria per le automobili e un Ponte metallico che porta a un ospedale? A spendere 90.725 euro (praticamente quanto servirebbe per rendere attivo il Museo della città) per un’insegna luminosa? Credo che ci siano almeno altri tre aspetti da considerare.

Il primo (non ridete) è l’amore per le automobili. Il punto di vista di chi ci governa è, evidentemente, quello di chi sta al volante. Non si spiegherebbe altrimenti la coincidenza tra: lo stralcio di tutte le ciclabili già progettate e finanziate; la riduzione delle corse dei bus; queste opere che sono a uso esclusivo di chi sta guidando un’auto. Sembra uno scherzo, lo so, ma non lo è, perché significa che si sta seguendo una logica privata, che si asseconda la propria prospettiva senza mettersi nei panni degli altri. Funziona così: uno passa ogni giorno per la Galleria e per anni mugugna tra sé e sé “certo che qui ci starebbe bene qualche cosa” poi si ritrova all’improvviso a governare la città ed eccolo lì, il qualche cosa. Quindi: amore per le automobili, oltre che per le infrastrutture.

Il secondo aspetto è la versione locale di una politica nazionale che, in effetti, la destra sta accelerando ma che domina da diverso tempo la scena italiana ed è quella di trasformare il Paese (e le città) in Luna Park. Che potrebbe essere anche l’ultima spiaggia, economicamente parlando, per l’Italia e l’Europa ma che, anche se fosse, richiederebbe dei paletti e un criterio, diciamo se volete “un masterplan.” Un Luna Park che si rispetti, ad ogni modo, ha bisogno di ingressi precisi che trasmettano questa idea un po’ giocosa ed intrigante: ecco la Galleria (e in questo senso ha ragione il sindaco a chiamare “città” la parte interna, perché tutti gli eventi si svolgono lì) ed ecco l’insegna luminosa sul ponte di ferro che a me ricorda così tanto l’ingresso di Christiania.

E Christiania mi porta al terzo aspetto da considerare. Quello cioè comunitario. In questa urgenza di segnalare i propri confini si intravede un bisogno identitario dai tratti un po’, come dire, antiquati. Nell’epoca di Google Maps e della georeferenziazione si presume che non ci sia bisogno di dire a chi guida “hey sei arrivato a Fargo”. Per accogliere una persona come si deve si potrebbero fare molte altre cose, come ad esempio indicargli dove lasciare l’auto. E allora perché? Perché sul ponte metallico la scritta del nome e sulle pareti della galleria una serie di simboli della città che (se non fosse per la mano sempre meravigliosa di RUN) ricordano l’esterno dei pub nei villaggi sperduti della Cornovaglia?

Io credo ci sia della destra in tutto questo. A livello iconologico, intendo. Non certo in RUN eh. Io credo che, dal momento che non ha senso attribuire una funzione di accoglienza a questi segni che mettiamo al confine, dobbiamo attribuire loro una funzione bigotta: noi siamo questi qui. Tu vieni pure. Ma noi siamo questi qui. Non ci rompere l’animo che tanto sappiamo dove finiamo noi, e dove cominci tu. Una cinta medievale mediatica, all’incirca. Un confine chiuso e non aperto. Un confine che confina chi sta dentro e chi sta fuori. Un confine che non ammette che l’incontro produca un cambiamento. Un confine, appunto, di destra. Che poi è normale aspettarselo.

Se mettiamo assieme questi tre aspetti abbiamo una città che si rivolge principalmente a chi va in auto, e a chi è interessato solamente al Luna Park. E i conti mi tornano.

Ma ricordiamo che un governo che, per prima cosa, rafforza anche solo simbolicamente i suoi confini indebolisce la comunità costringendola ad usare solo lo specchio, e non l’incontro.