Qualche giorno fa parlavo della Fretta e della Furia sul web: nodi proposti dalla rete odierna che affronto, come sempre, con fare amatoriale. Oggi, tocca ai ricordi.

I ricordi sono una faccenda strana. Vengono scelti e selezionati a più livelli, consci e inconsci. Sono diversi per ognuno. Cambiano ad ogni momento e, via via che viviamo, continuano a cambiare. La rotta della memoria è una singolare miscela di bussola, stelle, casualità e desiderio del nocchiero.

Alcuni li teniamo dentro a lungo, finché è il momento giusto di sedersi a fissarli come fossero tv, o di darli in pasto a una cerchia più o meno ristretta di persone.

Nel frattempo, i loro contorni sono mutati: un amore può essere più amore, un abito da bancarella un tailleur di Armani; due ore dieci, o dieci due. Tutto è sottoposto alla lente deformante della memoria personale. Spesso, i sentimenti forti, troppo forti, vengono stemperati e dopo tempo si ripropongono allungati dalla nostalgia, che è un latte di singolare densità utilizzato per scongiurare le tachicardie.

I Ricordi, di fatto, sono materia di poesia. Sono sogni, e desideri. Influenzano il presente prima ancora di essere pensati, con la loro semplice esistenza sotto pelle. Ci compongono, più o meno segreti, come le cellule compongono il nostro organismo. Sono i pigmenti dei colori che utilizziamo per dipingerci.

Oggi, la loro gestione è profondamente mutata. I ricordi vengono gettati nel calderone di un ipotetico presente in rete: siano immagini, testi, racconti, diari, canzoni, sono a disposizione della collettività sin da subito e, di conseguenza, cessano di essere ricordi. Ammantati della presunta oggettività scientifica che, a torto, attribuiamo all’immagine fotografica, vengono staccati da noi stessi dopo nemmeno un minuto, come una cicatrice non ancora secca: li guardiamo da distanti, in una precoce autoscopia. In questo modo, tutti i ricordi diventano validi, omogenei, ugualmente importanti; e tutti i ricordi sono abortiti in quanto tali: si propongono come immagini esterne, non più come elaborazioni interne del nostro sé.

Sono non-ricordi.

Parlo di aborto perché i ricordi, in questa fase, non hanno ancora vita; sono immagini riflesse di qualcosa che vorremmo, un giorno, ricordare. Non sono cresciuti abbastanza dentro di noi; non si sono nutriti con noi, non hanno scalciato dall’interno la nostra pancia, trasformando così il nostro presente. Che, difatti, senza ricordi non esiste.

E cos’è spesso, questa nostra vita in rete, se non un disegno del passato che vorremmo avere? Immagine dopo immagine, filmato dopo filmato, commento dopo post, proponiamo agli altri una biografia in cui la narrazione postuma sostituisce il presente. Non definiamo il nostro passato, non facciamo il nostro presente. Piuttosto, ci impegniamo a colmare il vuoto del nostro futuro, di quando non saremo.

Pamarasca

Le Immagini in questo post:

Kurt Schwitters, Merz 163

Umberto Boccioni, Quelli che vanno

Gipi, da Animals, n. 5, 2009