Di fronte a questo cambiamento di paradigma la quarta rivoluzione epocale della storia delineante una ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo che rimuove i pericoli della ipertecnologicizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa impugnando una ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro. intese come una minaccia
Il testo sopra è un estratto del discorso del nuovo Ministro della Cultura italiano. Quello che vuole dire è chiaro: “l’innovazione tecnologica sta cambiando la realtà e noi corriamo il rischio di esserne o troppo entusiasti o troppo spaventati. Nel primo caso non vediamo i pericoli; nel secondo caso gridiamo all’apocalisse.”
Perché ha deciso di rendere difficile un discorso così semplice? Perché l’Italia è un Paese corporativo, dove ogni categoria (professionale, accademica e, ovviamente, politica) utilizza il lessico come strumento di difesa di una serie di privilegi, e come segno di appartenenza a una certa classe.
Ma se per un tecnico dire le cose chiaramente è, a volte, oggettivamente difficile e c’è bisogno di un grande lavoro di intermediazione (come quello svolto da alcuni medici e scienziati che si occupano di rendere agevoli le informazioni alle persone, ad esempio), il compito di un politico è esattamente quello di mantenere il collegamento con la realtà.
Certo, la distinzione tra apocalittici e integrati non merita grande attenzione: è una banalizzazione sconcertante ed è un bene che sia stata sepolta da un lessico alieno. Forse era questa la reale volontà del ghost-writer di Giuli, che ha avuto un moto di compassione per il committente. Resta comunque al palo l’idea di un programma per la cultura, da parte di un governo che della cultura se ne frega.