Molti anni fa, ero a Madrid. Avevo 5 ore a disposizione prima di salire sull’AVE per Siviglia e decisi di passarle al Museo del Prado.
Erano anni che non visitavo una Galleria: sarei potuto andar per gradi. Riabituarmi. Invece decisi di iniziare dalla più bella galleria del mondo.
Lasciai all’ingresso la valigia, un trolley verde che ancora oggi mi tiene compagnia nei pochi (purtroppo) spostamenti che faccio, pagai il biglietto e entrai. Che sarà mai, giusto un po’ di quadri.
Davanti a Las Meninas di Velazquez, piansi.
Perché era bello. E per il tempo, gli anni, che avevo passato senza visitare gallerie.
Mi ero da poco separato (diciamo così) dalla mia ragazza di allora. Ma nessuna delle mie lacrime discrete aveva a che fare con lei. La mia commozione non aveva a che fare con nessuno.
Avevo visto e rivisto quel quadro riprodotto un migliaio di volte.
Naturalmente, era diverso.
Non avevo intenzione di condividerlo con nessuno. Ero felicemente in lacrime, serenamente solo.
Quello che avrei voluto condividere, anni dopo, era il me stesso cambiato dalla vista di quel quadro.
Non l’oggetto, ma il suo effetto.
La condivisione ha mille facce. Non è mai pacifica, né lineare.
Pamarasca
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