Come si sa, sono uno strenuo sostenitore del web. Ottimista impunito, scorgo nello squallore generale qualche esile speranza di miglioramento individuale e sociale grazie alla rete e alla condivisione dei saperi e delle sensazioni. Certo le trasformazioni saranno tante.

Ma visti i casini che abbiamo combinato tutti sino ad oggi, perché non accettarle volentieri?

Del passato, tuttavia, alcuni insegnamenti sono da prendere per buoni: si trovano nei libri, ma anche nei proverbi popolari (ché alla fine, con qualche sfumatura, da millenni diciamo le medesime giustezze).

Ciò che in fretta si fa, presto si rovina

La Fretta sta sostituendo troppo spesso la rapidità. Ci ritroviamo a pensare, camminando, a quel che nel frattempo potrebbe succedere nel nostro network e ci concentriamo sulle ipotetiche occasioni perse anziché su quello che stiamo facendo (e, distraendoci, effettivamente perdendo). Ugualmente, quando ci troviamo in rete, rispondiamo – commentiamo – scriviamo ma soprattutto leggiamo in maniera famelica, come dovessimo ingoiare ogni secondo di conversazione, ogni briciola di immagine, ogni brandello di canzone.

In alcuni casi, anche i nostri messaggi privati vengono contagiati dalla Fretta: come se l’altra persona stesse scappando, come se domani fosse troppo tardi, come se le idee che abbiamo ora potessero fuggirci dalla mente.

Con il tempo, in passato, le idee si consolidavano; si formavano; maturavano; si definivano. Ora, action-painting concettuale, le buttiamo fuori immantinente convinti sia la forma abbozzata la migliore. Timorosi che vadano perdute nel nostro labirinto neuronale. Per nulla certi di saperle lavorare.

Questa fretta, in certi casi che ho avuto la sorte di conoscere, ha conseguenze paradossali e indicative. Vi ricordate American Psycho? La trovata più geniale del romanzo di Ellis, a mio parere, è l’incapacità da parte del personaggio di riconoscere le persone: confonde continuamente visi e nomi, ma non sbaglia mai la marca di un abito, il drink, il colore di una giacca. Osservando certi comportamenti sul web, mi è tornata in mente quella trovata: perché sempre più chi frequenta i social network ricorda esattamente quel che ha detto, ma non ricorda a chi; ricorda cosa ha sentito, ma non ricorda chi l’ha detto. E non parlo solamente di facezie: ci frequentiamo tutti di più, ci conosciamo tutti di meno.

E non c’è tempo. Non c’è mai tempo.

Impariamo allora a riprendercelo il tempo: viviamo una rete consapevole, incantiamoci davanti a un tramonto senza bisogno di fotografarlo e di postarlo ad ogni costo e, soprattutto, immediatamente. La presenza di ognuno di noi non è indispensabile, e la fine sarà sempre la stessa, web 2.0. o no.

Occhio per occhio, dente per dente

Al contagio della Fretta s’affianca quello della Furia. Come alcuni di voi sanno, il concetto che più mi sta a cuore tra i tanti mutuabili da Rheingold riguarda il dolore: in rete, dice R., non vedi nell’altro il dolore che provochi: è necessario, per questo, un approccio educativo di grande spessore per evitare derive. Bene. Ma intanto che questo approccio non arriva?

Da bravo anarchico, ho sempre pensato che la rete possa autogestire questo genere di problemi. Ne sono ancora convinto, ma forse, prima, bisogna farsi passare la sbronza degli ultimi mesi/anni.

Come capita a molti ubriachi (e sono un esperto) la sbronza diventa aggressiva. Eccoci allora, in rete, ubriachi delle nostre connessioni, capaci di durezze inconsulte, di critiche (non “ragionate” perché, ovviamente, frettolose) feroci, di gesti d’affetto, anche, esagerati se rapportati alla persona cui li destiniamo. Non valutiamo noi stessi, prima di agire; non abbiamo alcun interesse nei confronti delle conseguenze di quello che diremo.

Naturalmente, generalizzo. Ma credo che diverse persone possano riconoscersi in quello che dico che, come sempre, non è particolarmente originale. Il rischio in questo caso? Il male. Quello che si può fare dicendo/scrivendo del male, ma quello che si può fare anche dicendo/scrivendo un bene maggiore di quel che si può dare.

Cautela. Ci vuole cautela, e sobrietà. Una doccia fredda, il mattino dopo la gran bevuta. Una considerazione del prossimo per quel che è, e non per come lo pensiamo noi

pamarasca

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