Marisa Saracinelli, amica di famiglia, mi preparò all’esame di maturità. Ricordo con sconcertante nitidezza i pomeriggi passati nel suo studio di via Rodi. La mia memoria è chirurgica sui discorsi che attraversavano i Promessi Sposi o Verga, e sui gesti. La sua mano che passava nella mia il prezioso volumetto del Puppo dedicato al Romanticismo, che non le ho mai restituito. Sta ancora nella mia, di libreria. Se i ricordo di quelle lezioni è così nitido, la ragione è semplice e sta nell’essere profondamente e autorevolmente Maestra di Marisa. Appunto ieri dicevo con un amico che lei si situa lì dove l’autorevolezza prende le distanze dall’autoritarismo: questo reso inutile da quella.
Non è tutto in quelle lezioni. Con il tempo ci siamo visti di rado. Ma ancora una volta cristallino è il ricordo della sua telefonata, all’uscita del mio primo romanzo. Naturalmente lo aveva letto, e le era piaciuto. Mi chiamava per dirmi bravo e d’improvviso sono tornato indietro di anni, per crogiolarmi nella soddisfazione di quell’encomio. Tanto hanno inciso le sue lezioni nella mia vita.
Ogni nostro incontro è stato per me intensissimo, in virtù della grandezza morale che le ho sempre riconosciuto. Ma non dimentico che a questa figura per certi versi statuaria e imbarazzante, appartiene anche uno sguardo di grande dolcezza, e di serenità nei momenti più difficili, come capita a poche, pochissime persone che hanno saputo e sanno far buon uso dei libri letti, della conoscenza, di un sapere inutile se non incontra la giusta sensibilità.
Uno sguardo dolce ed autorevole, privo di qualsiasi forma di protervia. E’ nel non ergersi che si misura la statura delle persone grandi.