Sul ricco, competente e bel blog del mio amicissimo Marco Dominici mi è stata chiesta un’opinione sul self-publishing… e io l’ho data 🙂
Dice Marco: Parlando di contenuti, è indispensabile dare quindi la parola a chi il contenuto lo crea, ovvero l’autore, il demiurgo del testo e primo motore immobile di tutta la filiera editoriale.
A tale proposito ho coinvolto nel dibattito il mio più caro amico Paolo Marasca, che guarda caso è uno scrittore: il suo primo romanzo, La qualità della vita, ha avuto quella che si dice un’ottima accoglienza da critica e pubblico e già sta lavorando al secondo, che posso dirvi per certo, avendo lette le bozze quasi definitive, è ancora più bello.
A Paolo chiedo come vede, da autore, la prospettiva del self publishing, che sembra sia la grande opportunità e risorsa del digitale per chi scrive, e cosa pensa del social reading.
Scrivo io: “Cercherò di essere sintetico e, quindi, perderò per strada le sfumature di questioni estremamente complesse. Non me ne vogliano i lettori di questo blog. Non sono contrario al self publishing di per sé, ma non nego di essere piuttosto scettico al riguardo, per le ragioni che sintetizzo qui di seguito:
1) Da anni l’arte contemporanea e la musica hanno dimostrato tutti i limiti dell’autoproduzione, sia pure a fronte della scoperta di una minoranza di veri talenti (poi comunque rientrati nei ranghi del mercato tradizionale). Non credo che per la letteratura sarà diverso.
2) Il mercato editoriale è letteralmente strozzato dalla grande distribuzione, così come lo sono le librerie indipendenti. Un editore, specie se talent scout, non ha i mezzi per svolgere un lavoro di qualità. Un libraio, specie se bravo e attento, non ha i mezzi per confrontarsi con le grandi catene e dare visibilità ad una certa letteratura. Risolvere questo nodo sarebbe la vera rivoluzione, mentre credere che il self publishing possa bypassarlo mi sembra una chimera.
3) Lo spreco di talento è dietro l’angolo. Un autore, magari giovane, dovrebbe avere la possibilità di confrontarsi con un editore, vedere la propria opera da un diverso e professionale punto di vista, imparare a gestire le proprie capacità. Sono assai rari gli esempi di atleti privi di allenatori e non credo che vengano su campioni che apprendono le impugnature del tennis da Youtube. Per la scrittura, non è poi tanto diverso: il bravo editore è un patrimonio, non un fastidioso intermediario.
4) Il mercato non è democratico. Esso si muove secondo sottili equilibri relazionali e favorisce il detentore di un capitale economico, umano e soprattutto, oggi, sociale. Il talento eccezionale ma povero di risorse ha sempre meno possibilità di essere scoperto, perlomeno parlando di grandi numeri. Che possa capitare, è chiaro, ma che sia più probabile rispetto al vecchio mercato editoriale, non lo credo affatto.
5) La tecnologia odierna potrebbe essere utilizzata per supportare l’editoria di qualità e il lavoro di editori e addetti, prima che per proporre edizioni fai-da-te di opere che magari avrebbero potuto essere migliori. Credo sia necessario aiutare editori e librai, non i già troppi autori pieni di sé e delle proprie parole.
6) D’altro canto, la tecnologia e il fai-da-te sono ottimi per le opere minori o secondarie, gli scritti marginali degli autori, i lavori collettivi e sperimentali etc. etc.. La tecnologia, infine, grazie agli e-book, è uno strumento imprescindibile che potrà dare vita a nuove forme di creazione e cambierà di certo l’editoria contemporanea.
Ma dio salvi l’editore in un mondo dove scrivono tutti e leggono pochi.
A proposito del social reading, solo due parole. Non amo particolarmente i vecchi gruppi di lettura (questione di gusto, li apprezzo ma non mi ci trovo), quindi non ho molti riferimenti al riguardo. Vedo il buono di una forma di vera e propria “riscrittura” collettiva del testo che, grazie ad annotazioni, citazioni, sottolineature, diventa altro da se stesso. Niente di male, anzi. Vedo invece il danno nella perdita di quel che di meglio hanno i gruppi di lettura tout court: le relazioni umane che si intessono grazie ad un libro galeotto, i flirt intellettuali e non solo, l’amicizia che è più importante del testo su cui ci si confronta.
Ma dio salvi i lettori in un mondo dove tutti scrivono e poi rileggono solo se stessi.”
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