L’altro giorno entra in farmacia un tizio e chiede una pasticca per dimagrire. La farmacista lo guarda per qualche istante, poi gli chiede se stia seguendo qualche dieta. Lui dice no, che infatti ha chiesto una pasticca.
Un mese fa viene da me un giovane appena laureato in scienze politiche, e dice Ho un’idea della madonna per realizzare un programma tv e fare un mucchio di soldi. L’idea è questa. Che ne dici?

A colazione, l’impiegato della banca che lavora nel mio stesso edificio, disegna su un tovagliolo il piano di riqualificazione urbana del centro cittadino e insiste sulla semplicità (con implicita allusione di genialità) del suo progetto.
Mandrie di anoressiche e anoressici si rivolgono a persone ed istituti che in risposta gli prescrivono diete personalizzate e mettono sotto i loro piedi una bilancia.
Purché si faccia in fretta.
E non si fatichi oltre il necessario.

Qualche giorno fa Marco Lodoli scriveva su La Repubblica le sue proposte per migliorare la scuola e insisteva sull’idea che il sentimento, l’emozione, non sono tutto. Lui, scrittore, giornalista ed insegnante, fa parte di uno sparuto coro che osa ricordare come non si impari tutto giocando, e che sarebbe bene insegnare ai ragazzi lo studio, l’utilizzo della ragione e la fatica che esso comporta.

Oggi, molte persone che studiano non si sentono mai pronte a mettersi in gioco, perché, come accade da millenni, studiando ci si accorge di quanto poco si padroneggi la materia, qualunque essa sia, e c’è bisogno, a quel punto sì, del cuore, del carattere per fare il passo anche se consapevoli della pochezza del proprio sapere. In compenso, c’è un esercito di persone infarinate che si gettano felici nella padella unta della presunzione. Non sappiamo mai niente. Ma soprattutto accettiamo sempre meno che parte considerevole del nostro tempo debba essere speso per sapere qualche cosa.

Quando un paese va a rotoli, mi diceva un amico spagnolo nel 1994, a Siviglia, osservando le file ai baracchini presidiati da personaggi monchi, zoppi ed orbi che distribuivano tagliandi, la lotteria va per la maggiore.
Un principio che si è esteso ad ogni campo del sapere, del fare, dell’agire, del lavorare. E al globo che, infatti, a rotoli sta andando.

Viviamo una corrida continua, in cui consideriamo il tempo per studiare sprecato perché qualcuno ci passerà di certo avanti sul palcoscenico e chissà la gente quanto applaudirà.

Ho parlato con studenti soddisfatti di aver scritto una tesi utilizzando solo Wikipedia: si consideravano bravi, non spostavano di un millimetro l’asse del loro fuoco, il che gli avrebbe permesso di considerare negligenti o imbecilli i loro professori, piuttosto.
Ho parlato con aspiranti registi che non considerano nemmeno lontanamente l’ipotesi di fare da assistenti, di portare caffè a qualcuno. Loro.
Ho parlato con scrittori e pittori che se ne fregano della critica dell’unico competente e ribattono con il plauso svogliato e distratto dei loro contatti sui social.

L’importante è essere visti ora, subito.

Io, nella mia vita non ho mai studiato tanto, lo ammetto. Ho sempre avuto un gran culo come studente. Ma oggi mi spaventa quanto sia declassato ogni genere di sapere, quanto sia vituperato lo studio e si esalti invece un ipotetico talento come deus ex machina, la buona idea di per se stessa. Nel grande pullman che abitiamo abbiamo sostituito il codice della strada con un bignamino – e il pullman corre, corre… cosa dice quel cartello?

Pamarasca