Da qualche giorno infuriano le discussioni attorno al Movimento 5 stelle. Come spesso accade ultimamente, posizioni divergenti vengono lette come affronti, critiche; come sfide o offese, riflessioni; come prese di parte (o di partito). Per quel che mi riguarda, sono convinto della forza propulsiva del Movimento a 5 stelle e credo che esso incarni, molto all’italiana, altri movimenti di rottura sparsi per il globo, a cominciare da Occupy Wall Street. Sono meno convinto da altre cose sulle quali vorrei porre l’attenzione, sia pure sinteticamente (me ne scuso). Queste cose sono:
– il leaderismo;
– la faciloneria rispetto al peso e al valore della rete;
– un rifiuto aprioristico dei massimi sistemi;
– il quasi totale disinteresse per la cultura
1) il leaderismo
Non mi soffermo troppo su questo punto. Qualche riga fa ho scritto “all’italiana” e con questa espressione intendo dire
senza la capacità di dar vita a qualsivoglia movimento, partito, gruppo, squadra di calcio o calcetto, centro sociale, famiglia che non abbia un leader carismatico forte e predominante
Un movimento che si definisca tale e che creda nel proprio valore rivoluzionario dovrebbe interrogarsi anzitutto su questo. Che poi il leader di tale movimento non si candidi alle elezioni è un’aggravante, poiché egli assume in questo modo le connotazioni del Grande Sacerdote, dello Sciamano, dell’Intoccabile che resta a lato eppure è al centro. Ruolo spesso ricoperto dalle autorità religiose e paterne. Io non credo abbiamo bisogno di tutti questi padri: trovarne sempre di nuovi è un regresso.
2) la Rete
Qui la trattazione richiesta sarebbe vastissima. Ho studiato la rete meno di molti altri, ma più di alcuni. Sono convinto della sua portata rivoluzionaria e sposo appieno le idee di de Kerchove (eh grazie, lo so), che tuttavia considero un pensatore molto, molto avanti rispetto ai tempi che corrono. La sua intelligenza connettiva – che non è affatto la somma di più intelligenze che si confrontano su una questione attorno a un tavolo virtuale – è nel contempo la partenza e il traguardo di un graduale abbandono del narcisismo odierno che, lo vediamo ogni giorno, si difende a denti stretti proprio dall’interno della stessa rete.
Il momento è epocale, è chiaro, e nessuno può dire con certezza quale sia la direzione. Importante allora sarebbe capire la grandezza della questione, trattarne con umiltà, compiere alcuni passi senza voler saltare il fosso. Si tratta di un problema prima culturale ed educativo che tecnologico. Rheingold, tra i creatori del web odierno, scrive, e lo cito spesso, che la rete richiede un senso civico estremamente sviluppato, poiché oggi possiamo agire con violenza contro qualcuno senza vederne il dolore. Possiamo, cioè, agire senza assistere alle conseguenze del nostro gesto linguistico. Non c’è, in definitiva, un limite ad una libertà che, però, non è un ideale condiviso ma la semplice e violenta libertà di fare quello che ci pare (senza conseguenze che ci tocchino). Una libertà che è il contrario di ciò che sostiene di essere.
Se la rete permette inverosimili incontri di intelligenze, fa lo stesso per gli scontri e leggerne le potenzialità con semplicismo è un errore spaventoso. Siamo nel mezzo di una svolta, per comprenderne la portata non dobbiamo tanto parlare di quella, ma studiare la storia, le reazioni dell’umanità di fronte alle grandi rivoluzioni, il passato. I filosofi. Cosa che oggi è davvero poco in voga. Quando si parla di rete, la fretta di dire cosa sia è la peggior nemica dell’umanità.
3) Il rifiuto dei massimi sistemi
In nome della concretezza a tutti i costi mi sembra si stia consumando un vero massacro. Non solo, né tanto, da parte del Movimento 5 stelle, è vero, ma io parlo di questo Movimento perché questo mi interessa. Si predilige un taglio amministrativo tout court che può funzionare perfettamente:
– nelle amministrazioni locali, in piccoli contesti e su specifiche questioni;
– quando si tratta di opporsi a una cosa, un progetto, un’idea.
Esistono però problemi che per semplicità ho definito relativi ai massimi sistemi. Si tratta di quei problemi non eminentemente pratici che richiedono anzitutto una riflessione e una presa di posizione, al di là della convenienza materiale (sarebbe conveniente la pena di morte per risolvere l’affollamento delle carceri, ad esempio). La presa di posizione di fronte a tali problemi (l’eutanasia, ad esempio, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la guerra, la tortura etc. etc.) deriva da principi che di solito l’uomo sintetizza in sostantivi. Uguaglianza, Libertà, Solidarietà. Autoritarismo, Potere, Religione. Laicità. E altro ancora. La nascita dei grandi movimenti politici è legata a questi principi (gli ideali) e d’altronde la vita di ognuno di noi lo è: l’Amore, ad esempio, cosa è se non un ideale, un’immagine, un discorso?
Mi si dice che questi ideali hanno stufato perché non si raggiungono mai (e difatti, l’Amore, per rimanere sul piano individuale e non collettivo, come lo immaginiamo non esiste affatto, per fortuna, è solo un desiderio che ci muove e spinge a negoziare, ad ottenerne uno reale, tangibile, una mediazione). Che bisogna essere concreti.
Ma la non fattibilità di determinati ideali non può e non deve impedirci di desiderarli, perché è il desiderio quello che ci muove e ci permette di vivere l’umanità. Porre gli oggetti di questo desiderio al centro di progetti politici non è utopia, è amore per l’uomo, per il futuro, per i figli, per la terra. Altrimenti, costruiremo bellissimi e funzionalissimi ponti per andare da nessuna parte o, nella peggiore delle ipotesi, quella che si sta avverando, scambieremo il consumo con l’ideale, l’oggetto da far nostro con il sogno.
Di un Movimento politico io voglio sapere cosa pensa dei massimi sistemi. Non mi basta che mi si dica: “quando si porrà il problema vedremo”. Io voglio sapere se immagina una società laica o religiosa, maschilista o paritaria, xenofoba o multiculturale, libertaria o autoritaria. Voglio conoscere i limiti che pone, perché la libertà è fatta di limiti anzitutto. Non sono problemi concreti? Accidenti se lo sono!
4) Cultura
Si giunge così alla terrificante assenza di un discorso culturale, laddove la questione educativa e culturale dovrebbe essere al primo posto, non fosse altro che per la presenza della rete, immenso e propositivo motore culturale appunto. E’ un paradosso che non riesco a capire perché è proprio l’emarginazione della cultura l’effetto della politica degli ultimi decenni, votata al consumo, alla “crescita”, alla produzione a tutti i costi, alla quantità.
Chi si oppone al diktat del mondo odierno e critica il Pil come metro di giudizio di una società, chi si scaglia contro il potere finanziario e le multinazionali non può che fondare un discorso sensato sul piano culturale. E’ proprio la cultura l’arma in grado di affossare l’economia dominante, di riempire il nostro tempo qualitativamente, di avversare il consumo del quale siamo schiavi, di farci decrescere felicemente. Eppure, di cultura non v’è traccia. Soldi, conti. In questo modo mi sembra ci si metta alla pari di quanti cercano soluzioni quantitative a un problema che è qualitativo. Mi sembra, per dirla tutta, che alla pari di altri sostantivi (politica, ideologia, sinistra, destra) anche “cultura” stia pagando un dazio davvero alto sull’altare dei presunti innovatori. Certo, mi si dirà, è normale: in assenza di ideali, la cultura trova una difficile collocazione, ed è per questo che, ad esempio, una cultura di destra di fatto non esiste. Ma bisogna fare uno sforzo, credo, perché se non lo dice un Movimento giovane ed onesto che la cultura è importante, che serve come e più del consumismo, chi lo deve dire?
Mi si dirà a questo punto che soluzioni posso proporre. Boh. Le soluzioni pensate trenta anni fa (trenta!) da alcuni esponenti del pensiero libertario americano possono essere riviste senza essere snaturate, poiché parlavano di federazioni con territori e popolazioni ridotti nella quali grazie alla tecnologia si potesse esercitare una forma di democrazia il più diretta possibile, così come il discorso di Latouche contiene risvolti pratici importanti, e anche quello di molti altri che conosco troppo poco per citarli. E però, ognuna di queste soluzioni è vincolata alla rinuncia da parte nostra di qualcosa che è molto più importante del 30, del 50 o del 90{718b7fa3b2b592516a932a52f1b28acf350d11f5677499f5852074ec020c39e0} di stipendio. E’ la rinuncia al narcisismo, alla competizione, all’esercizio del potere, la rinuncia all’illusione del possesso della ragione. Soprattutto la rinuncia alla logica del consumo che ci fa sentire liberi quando facciamo qualcosa che nuoce agli altri – direttamente o indirettamente. Le federazioni di cui si parla sarebbero infatti fondate sulla solidarietà e su reciproci rapporti di scambio e di conoscenza. Niente di più lontano dall’aggressività odierna, dalla competizione a tutti i costi, dallo sbandamento che porta molti a una deriva violenta, volgare, gretta, meschina, vuota.
Si potrebbe iniziare con lo studio della storia, per capire meglio quali potrebbero essere i nostri futuri, perché tutte le epoche si sono trovate di fronte a grandi cambiamenti, non solo la nostra; e con lo studio della letteratura, con l’esercizio della musica e della poesia, perché nell’arte spesso si sono trovate risposte ai mali della società. Con la lettura delle teorie libertarie di Bookchin, delle critiche di Pasolini, con la rinuncia a gridare, urlare, parlare sopra, anche quando sembrerebbe la sola soluzione.
La rete ce lo permette, perché in rete non è chi grida che viene più ascoltato. Per ora, è chi paga. E profumatamente.
Ma chissà, tra qualche tempo…
Pamarasca