Con la crisi, saremo più grassi. Leggevo un articolo che parlava di questo, qualche giorno fa. Il discorso era (è) semplice: con meno soldi in tasca, andremo alla ricerca dei prodotti più economici che spesso, non sempre ma spesso, sono quelli più grassi, meno sostenibili dal nostro organismo, meno salubri, più chimici, meno naturali. Le merendine dei nostri figli saranno della Konder, gli spaghetti della Di Ciccio, i prodotti biologici di Alce Opaco. D’altronde, le grandi marche risparmieranno su tutto per venderci merci a minor prezzo (prova questa di ricarichi impazziti, ma è un’altra storia).
È dunque, questa crisi, del capitalismo e non del consumismo. Bellamente continueremo a ingozzarci di schifezze inutili, solo più schifose, senza cambiare una virgola della nostra attitudine al consumo senza limite di ciò che non abbisognamo. Anzi. La corsa al risparmio procura una sorta di spasmodica corsa al consumo performante: “sai, ho trovato questi biscotti a due euro in meno di quegli altri e ne ho presi 5 pacchi scadono domenica ma riusciremo di sicuro a terminarli” “sai, ho trovato le carote giganti a metà di quelle medie” “che bravo, ma come fai a risparmiare così?”.
La gara è la seguente: comprare il più possibile spendendo il meno possibile. Il risparmio è diventato un business e l’acquisto è salvo, così come il desiderio inappagato di qualcosa, qualunque cosa, purché non sia appagante per davvero ma rimandi a nuova merce più costosa.
Così, meno soldi avremo più saremo grassi. Naturalmente questo avrà una ricaduta sulla nostra salute e sulla nostra sanità pubblica, ovvero sulle nostre tasse, ovvero sulle nostre tasche, sulla nostra società. Ma ci sarà sempre una merendina alla nostra portata.
E così via, pieni da far schifo, ubriachi di Havanna 5 anni e ½ e birra Porroni, diabetici d’aspartame e caramello, pronti a pagare rate e rate e rate per la nostra fiammante Mercades Bonz cupé.
Grassi di carne rossa, bianca, rosé, violacea, surgelata, calda, schiacciata, deprivata sensorialmente dalla nascita, nervosa, pronti, sempre pronti, a risparmiare sul gelato, non a fare a meno del gelato.
Le braccia grasse e rosacee infilate nell’ingranaggio che ci tritura come ciccioni senza speranza alle prese con la macchina distributrice di coca-cola light. Light, rispetto a cosa poi? A un’altra coca-cola.
I cervelli intasati di informazioni vuote, gli occhi di jpeg, pronti a divorare le parole che leggiamo senza masticarle, come facciamo con il filetto di turno, o si trattava di tonno, magari era maiale?
Siamo nel pieno (è il caso di dirlo) della crisi abbondante, le merci ci sommergeranno più di prima, solo più nocive, ma che importa? Costano meno, e delle conseguenze importa poco, perché noi non abbiamo figli o, se li abbiamo, non riusciamo a guardare oltre il loro naso, dove dovrebbe trovarsi il futuro che li aspetta, forse, se non ce lo mangiamo prima.
Pamarasca
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