Si fa un gran parlare di questa Violata, ancora. Intendo la statua dello scultore Floriano Ippoliti posta all’ingresso della Galleria San Martino di Ancona e intenzionata a rappresentare la fierezza delle donne vittime di violenza. O, meglio, re-intenzionata, dato che prima di questo nuovo impiego pare si intitolasse Donna con borsetta (non è dettaglio da poco, questo, anzi…). Il parlare è un po’ confuso e a me dolgono alcune cose: che tutti si parli d’arte così, come di noccioline; che la protesta contro questa opera sia intesa come censura fisica, delle nudità della statua. Quindi torno sull’argomento, dopo aver scritto qui altre cose.
1) la polemica, dicono, ricorda i mutandoni di Michelangelo.
Nel caso del Buonarroti, la Congregazione del Concilio di Trento ordinò a Daniele da Volterra di coprire le nudità del Giudizio Universale che andavano in direzione opposta alla linea politica del Concilio stesso, sommo regolatore della cultura tutta di quell’epoca che si pronunciò, anche se con una certa vaghezza, sul nudo nelle opere d’arte (Omnis denique lascivia vitetur ita ut procaci venustate imagines non pingantur nee ornentur). L’intervento non aveva nulla a che vedere con voci del popolo, critiche esterne o altro, ma era un aggiustamento legato ai precetti resi noti da Gilio da Fabriano (ci voleva almeno un perizoma, diceva Gilio, per le nudità dei Testi Sacri) e quelli che si scagliarono contro il Giudizio furono ecclesiastici, o persone che avevano un tornaconto nel farlo, come ampiamente dimostrato dalla storia dell’arte e dalla storia della chiesa.
Detto questo, le voci levatesi contro la scultura di Ippoliti – al di là di qualsivoglia giudizio – non se la prendono con la nudità, ma con la mancanza di riguardo nei confronti di quelle che dovrebbero essere le destinatarie dell’opera: le donne vittime di violenza. Non si mette, cioè, in discussione, la presenza di seni e natiche – per carità, allora dovrebbe chiudere il British, perlomeno – ma la non riuscita dedica – e come potrebbe essere altrimenti, dato che la statua si chiamava Donna con borsetta fino a qualche tempo prima? (insistiamo su questo, che è argomento decisivo). Insomma, con i Mutandoni di Daniele da Volterra, peraltro allievo appassionato di Michelangelo, non c’entra proprio nulla questa querelle.
2) la polemica tira in ballo l’atteggiamento della Chiesa – definito “di manica larga” laddove invece le iconografie della maggior parte dei dipinti che amiamo furono studiate rigorosamente a tavolino dai rappresentanti della Curia e non si concepiva nemmeno un artista autonomo – e cita un’altra opera: La madonna dei pellegrini di Caravaggio. E’, questo, uno dei dipinti che amo di più e qualche settimana fa sono stato a ri-vederlo assieme a Monica e altri amici. Ci vado sempre, lì e a San Luigi dei Francesi. Tirandolo in ballo, si commettono alcuni errori: la Madonna non fu mai tolta dall’altare, semplicemente i committenti – non la curia, ma gli agostiniani, rappresentanti di quella chiesa in cui abitò Egidio da Viterbo, ovvero colui che discusse con Raffaello tutta l’iconografia delle Stanze Vaticane – rimasero perplessi e indecisi sul pagamento al pittore. Cosa che spesso accade anche ai committenti odierni. L’equivoco deriva da un passo del Baglione, pittore zuccariano, rivale affascinato del Caravaggio e autore delle biografie secentesche, il quale scrisse che, di fronte all’opera, “dai popolani fu fatto estremo schiamazzo”. E però nel 1992 il Bologna chiarisce questo passo, sottolineando come il termine “schiamazzo” nel Baglione non abbia accezione negativa, ma di stupore, e addirittura, in un altro caso, positiva: “plauso, esaltazione”. I piedi gonfi e nudi del pellegrino, come ben chiaro a tutti all’inizio del Seicento, sono simbolo di obbedienza e fedeltà e di lì a poco lo chiarirà anche Federico Borromeo, nel suo De pictura sacra. Lo stupore sarà magari per il realismo, per la sorpresa della pittura caravaggesca, che non è mai stata così eretica o anti-istituzionale come piace pensare a noi moderni. Certo, qualcuno se la sarà presa: si era, non dimentichiamolo, nel pieno della Guerra Fredda fra cattolici e protestanti, quando, alla faccia della “manica larga”, dominavano la scena l’Index Librorum (cancellato nel 1966!) e tutti, ma proprio tutti i pittori, dovevano pensarci due volte prima di mettere mano a una pala d’altare. Il Concilio di Trento fu uno dei massimi esempi di regolamentazione dell’arte e soprattutto di utilizzo dell’arte a fini di propaganda politica anti-protestante. E se venne processato solo un pittore (il sommo Paolo Caliari, che si difese dicendo che i pittori si prendono le licenze dei pazzi ma fu condannato e ritoccò l’opera in questione senza più aprir becco) è perché gli artisti si adeguarono ai dettami, cosa tutt’altro che scandalosa ai tempi.
3) Non credo si debba molto parlare d’arte: se il problema fosse la censura di seni e sedere, che fare delle vacche tagliate in due di Damien Hirst o delle sfilate sanguinolente di Franko B, ma anche delle fotografie di Man Ray e di tutta l’altra ciccia artistica che ci circonda? Eppure, il problema c’è: nell’epoca, come ho già avuto modo di dire, senza padri che viviamo, dove latita l’autorevolezza e ci si affida spesso – erroneamente – in vece sua all’autorità, la politica deve fare professione di umiltà. E non pare umile imporre un’opera senza un bando o un progetto di idee, specie se su un tema così importante, o, in alternativa, una storia dell’artista che deve avere proporzioni indiscutibili, internazionali, direi quasi colossali. Non me ne voglia Ippoliti, che ha tutta la mia stima. Capita.
4) Quando si citano ad esempi di censura Hitler, Stalin o i soliti mutandoni del Volterra – povero Volterra, sfottuto già da vivo e poi messo in mezzo a questa faccenda – si dimentica che proprio Hitler, Stalin e la Controriforma fecero quello che a quanto pare si fa ancora oggi: decisero politicamente cosa era arte, e la imposero. Chi somiglia a loro, dunque? Chi se la prende per un’opera che ritiene non riuscita non artisticamente, ma civilmente, o chi la compra e la colloca in un tessuto urbano senza affidarsi a giudizi di esperti del settore, o a concorsi? Poiché la scultura in questione viene dalle istituzioni, la domanda pare lecita.
5) Le persone che hanno coperto la statua hanno commesso un errore di comunicazione però, va detto con il senno di poi: sebbene nel blog di Luna Margherita Cardilli sia spiegato il senso del gesto, questo è stato letto come un coprire le nudità, e non come un proteggere la persona. E’ stato, cioè, inteso nella sua valenza meramente iconografica, senza arrivare a una lettura più profonda. Ma è evidente, credo, che il problema non stia in un capezzolo. La protesta – che per i miei gusti talvolta assume toni eccessivi, troppo duri, troppo virati allo scontro quando un avvenimento così potrebbe essere uno spunto di dialogo – non può essere paragonata a un atto censorio. Si è toccata una sensibilità civile, e con questo bisogna fare i conti, come giustamente qualcuno ha detto.
Insomma, a questo punto della storia, si può anche ammettere che si sia commesso un errore di impostazione. Umiltà è anche questo. E in tutta sincerità, se io fossi l’autore, la prenderei e me la porterei via nottetempo, la Violata, perché anche l’opera – non solo quel che raffigura – merita d’essere protetta, e un padre lei ce l’ha.
Concludo con una piccola nota: si tratta di una sola opera in un contesto urbano e culturale pieno di problemi, è vero. E forse se ne fa anche troppo parlare. Sarebbe bello però che si creasse un dialogo, e non venga vissuta questa cosa come scontro tra fazioni opposte: si può partire da un angolo qualsiasi della casa, per riorganizzarla tutti assieme.
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