Scrivo spesso di dubbi: sono più interessanti delle certezze, e quando scrivo di web 2.0. divampano. Guardo dai bastioni e attorno solo marketing e vendita; lavoro 24h su 24h, con la solita scusa: mi piace il mio lavoro (e grazie, fai solo quello)

Ieri, però, ho scelto di vedere la cosa da una diversa prospettiva e di considerare la nuova rete come produttrice di qualcosa cui da tempo non pensavo. Le utopie. Non i progetti, i percorsi, le idee, le ideologie. Ma proprio le utopie. Quelle che non si realizzeranno, ma che ti senti realizzato tu, pensandole.

Mi spiego. Anzi, ci provo, ché il terreno è impervio. Ed io, come sempre, sono profano: chiacchiero nei bar.

Le grandi novità tecnologiche del nostro mondo ci hanno abituato al primato della scienza, tanto che, oggi, i film sui matematici fanno mangiare polvere a quelli sui poeti e i programmi cult della tv ti spiegano come è fatto il tubo di un lavello. Un percorso iniziato tempo fa e sul quale non è il caso qui di soffermarsi [basta leggere La scomparsa di Majorana di Sciascia e Il Visconte dimezzato di Calvino, per capirci]

Quel che conta è che nel corso degli anni sono esplosi i fatti. Fatti ovunque. Ce ne siamo circondati come il bimbo di giochi, il consumista  di acquisti, il maniaco di feticci.  Concreti o mediatici che fossero: non stiamo qui a sottilizzare. Inventati o reali, sempre di fatti si trattava.

Tutti questi fatti ci hanno spinto a porre una presunta Verità sopra ogni cosa: ma una verità verificabile, misurabile, effettiva. Una cosa esiste. Un’altra non esiste. Punto. Paradossalmente, una scienza sempre più proiettata verso l’infinito ha chiuso il recinto dei nostri pensieri, che hanno finito per prendersi carezze sul muso dai bambini senza ribellarsi.

Da un lato, il Web odierno corrobora questo stato di cose. Insomma, diciamocelo, è appena arrivato e lo abbiamo riempito di mercato, ingozzato di marketing e strategie, letteralmente abitato di spot che pubblicizzano marchi e persone, di vendite porta a porta e esperti di commercio che, dopo il fallimento della new economy, non possono credere alla possibilità di riciclaggio che si trovano davanti.

Però

Però ecco che dall’altro il Web si lancia in un terreno dimenticato. Un mare che si era ritirato, un deserto di navi arenate fotografato da McCurry. Il mare delle utopie. Che non sono fatti, e non sono sogni, né fedi, né speranze. Ma utopie, parola che non conosce eguali, o traduzioni.
E non è che alimenti le utopie, il web: le crea.

Lo fa attraverso la straordinaria positività di molti suoi frequentatori e la possibilità, innata, di inanellare risultati inaspettati grazie alla condivisione permanente. In questo modo, spinge le persone a immaginare: a confrontarsi non solo con i risultati ottenuti, ma con quel che non esiste. Con i pensieri e le parole, più che con i fatti.

Da bambino, amavo disegnare. Mia madre mi spingeva a fare un gioco: tracciava una linea, una curva o una forma sul foglio e mi metteva la matita in mano: continua tu, diceva.

Questi pensieri, lo ammetto, mi hanno fatto andare a letto più sereno.

ciao

Pamarasca

Le immagini in questo Post:

La Trota di Gustave Courbet

Composition VIII di Vassily Kandinsky

Un pensiero rinchiuso