Michele Rech, Zerocalcare, è stato ad Ancona per il Festival Branchie, assieme alla giornalista Maria Laura Ramello e al direttore di Best Movie Giorgio Viaro. Con loro, Michele condivide molti progetti e una profonda amicizia. Giorgio ha condotto l’incontro e la serata in maniera a dir poco eccellente.
A margine di questo appuntamento, mi viene voglia di spiegare meglio perché ritengo Michele uno dei pochi intellettuali in circolazione, e uno dei pochissimi che ci servono.
Michele ha una lucidità impareggiabile, che utilizza non per parlare delle cose che gli altri fanno, o che agli altri accadono, ma per riflettere pubblicamente sulla propria posizione nel mondo mentre le cose capitano. E nel mondo le cose capitano di continuo. La sua è, quindi, una logica di relazione. Quello che fa – un libro, una striscia, una serie, un intervento – è frutto di confronto e non di asserzione; di collettivo e non di singolarità. Il risultato di questo uno che si scioglie nell’altro collettivo è un uno inconfondibile, e chi oggi parla di “identità” dovrebbe tenerne conto. Non capita quasi mai di incontrare un atteggiamento simile, mentre capita molto spesso il contrario.
Ultimamente lavoro con un amico ad un progetto molto interessante, per cui mi è capitato di utilizzare il termine Coerenza, riferito al comportamento di certe imprese private. Lui mi ha corretto o, meglio, mi ha suggerito di utilizzare un termine più preciso e adatto ai nostri tempi, che è Corrispondenza. Una singola parola cambia tutto, evidentemente. Infatti, Coerenza è qualcosa che ti inchioda alle parole del tuo passato: coerente è “colui che non contraddice né a fatti né a parole ciò che ha detto prima”. L’idea è quella di una persona tutta di un pezzo, ma anche di un solido che rimale tale e quale quando si relaziona con l’esterno.
La Corrispondenza, invece, è il rapporto di massima somiglianza possibile tra quello che si fa e si dice, e quello che si pensa di voler fare. Nella Corrispondenza c’è sempre una stretta relazione con quello che accade all’esterno, e non immaginiamo più il solido di prima, ma un rapporto dinamico, e un corpo che ha delle aperture.
Michele Rech è, a mio avviso, la figura intellettuale italiana in cui si riscontra in maggior misura la qualità della corrispondenza. Una qualità molto contemporanea, perché non lega il soggetto “coerentemente” a un assunto precedente, ma fa corrispondere i suoi movimenti ai suoi valori. Questo è un grande esempio, specie direi per chi si occupa di politica. Oserei dire che sarebbe un paradigma capace di sostituire degnamente quello delle ideologie che ha dominato il secolo passato e da cui, a quanto pare, non siamo ancora usciti.
Nel suo caso, a me sembra che con questa dinamica di apertura, di relazione e di movimento Michele compia un gesto necessario: quello di togliersi di dosso il potere che quello che fa inevitabilmente produce e gli depone sulle spalle. E questo non voler trattenere il potere – che pure ancora oggi resiste come oggetto del desiderio – lo accomuna a molte ragazze e ragazzi di questo “tempo scemo”, che stanno cercando di capire come intessere una comunità in cui, se proprio non si può fare a meno del potere, lo si passi di mano in mano continuamente, sminandolo, neutralizzandolo, perforandolo.
In questo senso, Michele è un vero intellettuale e sta facendo del bene alla nostra società e a chi, volente o nolente, ne determinerà il futuro. In cui bisognerà saperci fare diversamente, con il potere.