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Prima di assistere al concerto di Ferrara, pensavo di scrivere qualcosa di aneddotico e un po’ nostalgico sui Massimo Volume. Le bottiglie di vino a casa di mio padre, quella volta che…, quell’altra che però…: cose così. Poi, ho visto il concerto e mi sono reso conto che i MV non sono tornati: sono andati avanti, unendo le forze e le esperienze che ognuno di loro aveva nel frattempo maturato. Altro che nostalgia!

Certo c’è un po’ di tono celebrativo in questa giornata ferrarese, e in qualche passo dei testi recenti di Emidio e della bellissima storia del gruppo a più voci pensata da Pomini (“Tutto qui, ed. Arcana, merita davvero). E’ inevitabile. Ma quello che conta e si respira nel corso del concerto è il desiderio di dare vita, insieme, a qualcosa di nuovo:

i MV vogliono ancora essere una voce per tante persone silenziose.

Ne nasce un equilibrio di rara potenza: alla giovinezza sfacciata subentrano una maturità tenera e un disincanto però non depressivo, sentimenti che appartengono ad ognuno di essi, e che per esprimere al meglio dovevano narrare assieme.

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Vittoria suona una batteria elegante lasciando trapelare l’amore per gli arrangiamenti, la passione per le sedute in studio, la presenza e soluzione dei conflitti: la sua consapevolezza, in definitiva, di essere la forza motrice dei Massimo Volume. Riesce a suonarla e a renderla simile a se stessa: delicata ma presente, giocosa ma profonda, capace di sterzate emotive da brivido ma sempre in grado di radunare l’equilibrio necessario. Per arrivare a tanto, è stato necessario staccarsi e raggiungere una consapevolezza umana e musicale al di fuori delle mura dei MV.

La chitarra di Egle, anche, somiglia a chi la suona. E chi la suona è un essere magro e ironicamente silenzioso, una versione musicale di Edward mani di forbice, che quasi senza accorgersene definisce il profilo e il taglio di tutti paesaggi musicali del gruppo. Un musicista tanto maturo da avere al fianco non un subalterno, oggi,ma un’altra chitarra dalla personalità fortissima: Stefano che, assieme alla Vittoria reduce dai Franklin Delano, porta nel gruppo un’atmosfera desertica e visionaria e la cui presenza sul palco assieme ad Egle è quasi dirompente per il contrasto tra i rispettivi movimenti e la concordia/frizione tra le note.

Infine Mimì, da sempre frontman e catalizzatore dell’attenzione del pubblico. Anche le sue parole somigliano sempre più a lui: si avvicina al canto non nel senso di vocalizzo, ma nel senso leopardiano del termine. I suoi testi si fanno maggiormente fluidi e l’asciuttezza non coincide con durezza, ma con la semplicità della poesia. Paradossalmente, nel periodo di maggior grandezza dei MV i testi di Emidio cercavano la dimensione del racconto in prosa; ora, cercano la lineare brevità della poesia. Con successo perché, a mio parere, anzitutto poeta è Emidio.

Quello che voglio dire è che i MV non sono quelli di prima. Somigliano sempre più a se stessi, e questo risultato è enorme.
Non bentornati, allora, ma bentrovati, ragazzi.