Oggi ad Ancona si festeggia la riapertura di un Cinema, che diventa anche spazio polivalente per spettacoli e attività partecipate. Si tratta del Cinema Italia in corso Carlo Alberto, costretto alla chiusura e una serie di lavori a seguito di un sopralluogo della Commissione di Pubblico Spettacolo. Il costo dei lavori è stato sostenuto, in parte, dalle persone che hanno risposto con entusiasmo a una (eccellente) campagna di fundraising.
Si dice che oltre a quelli della Commissione di Pubblico Spettacolo, prima vi fossero stati altri sopralluoghi di persone interessate a quel Cinema. Ma questo oggi conta poco perché Chiara, Francesco & co. hanno riaperto: sempre loro, per i fatti loro.
L’amministrazione Comunale si occupa del caso con una certa ambivalenza: da un lato, durante un consiglio comunale, un Assessore impreca (porca t**) e afferma che quello è un “cinema parrocchiale“, ottenendo cenni di assenso da un collega. Dall’altro, il Sindaco sostiene, e parteciperà alla festa di apertura di questa sera. Diciamo non esattamente un “coro unito”.
L’adesione alla campagna di fundraising, ad ogni modo, ha permesso di raccogliere quasi 20.000 euro. I gestori hanno potuto rendere il Cinema polifunzionale e prevedono una direzione artistica partecipata. So per certo che tra le donazioni ce ne sono di chi non frequenta abitualmente quello o altri cinema. Mi pare un buon segno, perché significa che qualcuno ha dato per la collettività prescindendo dal gusto, dall’abitudine o dalle possibilità proprie.
Ho seguito un po’ questa cosa perché avremmo dovuto ospitare Zerocalcare al Cinema Italia in occasione del festival Branchie e così abbiamo scoperchiato un vaso di Pandora che avevo conosciuto bene durante la mia esperienza nell’ente pubblico: quello del pubblico spettacolo in Italia.
La normativa sul pubblico spettacolo in Italia è fatta apposta per scoraggiare chiunque non possieda una catena (di locali, di agenzie, di cinema e così via), possibilmente multinazionale e multimiliardiaria. Il prezzo per fare quello che si ama è così alto (non solo economicamente) e la contropartita è così bassa (soprattutto economicamente) che, come dice una mia cara e giovane amica operatrice culturale “quelli della mia età stanno smettendo tutti.”
Purtroppo, non credo che l’esempio di Chiara e Francesco possa farci cambiare idea. Anzitutto, loro due sono fuori categoria, l’amore per ciò che fanno e una competenza vasta come la Patagonia e acuta come uno spillo sono troppo per la media del genere umano. In secondo luogo, che proprio loro, riconosciuti come il meglio sulla piazza per quel che riguarda il cinema nel territorio, si siano trovati con le spalle al muro, la dice lunga sulla follia del sistema.
Qualche tempo fa, anni a dire il vero, prese forma una proposta di Legge sul pubblico spettacolo e sullo spettacolo dal vivo, che aveva firmatari illustri e che fu insabbiata in maniera equilibratamente bipartisan. Da allora, se una lampadina ti si sta per fulminare chiudi. E se cerchi bandi pubblici per comprarle nuove, per il settore culturale non ne trovi.
D’altronde, eliminare la cultura di qualità significa eliminare un costo secco per le amministrazioni, salvo poi ritrovarlo moltiplicato nelle strade, dove chi non è capace di esprimersi in altro modo utilizza l’ignoranza, il malcostume e la violenza.
Chiara e Francesco, e tutte le persone che collaborano con loro, non sono, quindi, un modello che rientra nella media. Ma sono una lampadina, che sfarfalla, ma che tiene incredibilmente bene e che inizia una nuova vita assieme alle persone che li hanno sostenuti. Nonostante tutto, quindi, oggi vale la pena dire oggi Viva l’Italia.