Credo sia giusto che chi governa dia indirizzi chiari sulla sua politica culturale, anche perché così si capisce cosa intende per cultura. Sotto questo aspetto, la Regione Marche negli ultimi anni ha fornito indicazioni molto chiare. Tre sono gli aspetti principali della sua politica culturale: una dotazione irrisoria di fondi per le attività culturali del territorio; un investimento significativo sul folklore; un centralismo decisionale molto spinto, con lo svuotamento o il controllo totale degli enti intermedi che avrebbero dovuto portare valore aggiunto in professionalità e competenza. L’assunto di base è uno: la cultura serve ad altro.

Sharon Zukies, in The Cultures of the Cities (1995) lo diceva già: “nel nostro degradato lessico contemporaneo, la parola cultura è diventata un’astrazione che rappresenta qualsiasi attività economica che non crea prodotti materiali come acciaio, auto o computer.” Dopo aver deciso cosa fare, la Regione Marche ha individuato alcune figure di riferimento per la propria idea di cultura: Vittorio Sgarbi (che già stava spesso nelle Marche a dire il vero), Pino Insegno e, più di recente, Enrico Vanzina.

Ecco, questa è una politica culturale dichiarata. Che spiega, anche, la necessità di un centralismo decisionale: queste sono figure scelte dai politici, non da esperti messi a dirigere le istituzioni culturali regionali (che, in quanto esperti…)

Era prevedibile che, vinte le elezioni ad Ancona, la stessa politica si riversasse sul capoluogo. Infatti, due sono stati gli annunci di rilievo della nuova amministrazione sul piano culturale: l’imminente arrivo di una programmazione espositiva affidata a Sgarbi; l’arrivo nel 2024 del festival del cinema anni Ottanta diretto da Enrico Vanzina.

Per quanto riguarda Sgarbi, il recente episodio del Maxxi non è che l’ultimo attacco, in ordine di tempo, a una speranza di crescita culturale e civile del Paese, crescita che, d’altronde, gli impedirebbe di rivestire continuamente ruoli istituzionali, quindi è anche comprensibile la osteggi (i ruoli, così come i testi per i cataloghi di artisti ingenui, vengono pagati profumatamente). Lo so, ha appena acquistato con firma di suo pugno la mostra di Harari co-prodotta dalla Mole di Ancona, ma non per questo cambio idea (Guido well done, ti voglio bene!).

Più interessante è la vicenda del festival del Conero, dedicato al cinema anni Ottanta e finanziato cospicuamente dalla Regione Marche. Partiamo da un dato reale: è vero che, a partire dal prossimo anno, dovrebbero arrivare risorse importanti dallo Stato per il cinema. Anche per questo, tempo fa, si tentò una riformulazione della film commission delle Marche, che a mio parere era necessaria, ma non è venuta bene. Usare parte di queste risorse per il festival diretto da Enrico Vanzina è sensato?

A me pare di no. In primo luogo, perché anche se si volesse davvero introdurre un “festival cinematografico di carattere nazionale” nelle Marche, si disperderebbero energie in una regione che ha un milione e mezzo di abitanti e un festival di cinema già ampiamente posizionato sul territorio nazionale come quello di Pesaro (59esima edizione). L’ennesima prova di una regione che, anziché adottare un piano industriale per la cultura in un territorio limitato come il suo, segmenta e parcellizza tutto perché così, diciamolo dai, si perdono meno voti.

In secondo luogo, e qui scendo su scala urbana, perché l’arrivo di risorse maggiori sul cinema dalle casse dello Stato sarebbe l’occasione d’oro per far fare il salto definitivo di qualità a un festival che esiste già, che ha un focus specifico, e che è ben noto in Italia e all’estero come Corto Dorico. D’accordo, non è Vanzina (e vabbè). Ma è un festival: che ha un focus sui cortometraggi su cui si è costruito una reputazione; da cui sono partiti tantissimi talenti del cinema che oggi sono mainstream; amato dai produttori e dagli addetti ai lavori che vengono e fanno affari; diretto, assieme a Daniele Ciprì, da Luca Caprara che mannaggia sarebbe stato un fantastico direttore di film commission; che produce opere che poi vincono premi. Corto Dorico è già sostenuto da Ministero e Regione Marche, ma se davvero arrivassero risorse per il cinema (che un Comune purtroppo non ha), beh, perché non renderlo super, spostarlo nella città, farci sopra decine di eventi? Perché no?

Per gli anni Ottanta. Per l’annuncio di Verdone ospite del 2024 (peccato che era a Pesaro nel 2023…), Per quella specie di artwashing, chiamiamolo così, che con la scusa del periodo storico infila il povero Massimo Troisi, e anche lo stesso Verdone, tra un Greggio e un Calà. Troisi perdio!

Ma è giusto. Come dicevo, è giusto che si diano indirizzi di politica culturale, anche per dire cosa si intende per cultura.